Un tratto caratteristico delle società complesse in cui viviamo è rappresentato dall’evoluzione, sempre più sofisticata, di tecnologie. L’utilizzo sempre più frequente e massivo di tecnologie ci dà la sensazione di avere, una volta per tutte, imposto il proprio dominio sulle natura delle cose, potendole trasformare a nostro piacimento.
L’illusione che ne consegue è di convincersi di poter plasmare la realtà eludendone e ‘facendone fuori’ tutti gli aspetti sgradevoli: i virus che popolano i corpi come le fragilità che affliggono le anime.
Il nuovo ideale di bellezza è, dunque, un’ideale di pacificazione personale e sociale – l’estetica contemporanea ci racconta, cioè, qualcosa sull’etica contemporanea e viceversa.
Ma in cosa consiste l’idea del bello, oggi?
Detto in due parole: è bello ciò che è facile, trasparente, “levigato”, non richiede particolare attivazione in chi guarda e, anzitutto, si presenta senza ombre e allusioni: tutto è già lì, a portata di mano. Questa idea di bellezza ci viene incontro con spudoratezza ogni volta che usciamo di casa o accendiamo la televisione: dai corpi perfezionati dalla chirurgia estetica sino ai salotti televisivi, dal business delle palestre che moltiplicano le occasioni per ‘costruire’ immagini scolpite di noi sino all’uso dei social media per coltivare profili e avatar personali sempre più performanti.
Accade, dunque, che la tentazione di immaginare un mondo senza crepe e ombre diventi fortissima. E se ci si trova di fronte a un paesaggio su cui incombe un temporale così come di fronte a un dramma famigliare a teatro, ciò non può essere vissuto come esperienza del bello perché il bello non può contaminarsi coi germi della realtà, con l’altra faccia della medaglia, si direbbe anche ‘col lato oscuro della forza’.
Nell’ideale contemporaneo la bellezza mi deve fare sentire come a casa, avvolto nel caldo piumone della mia zona di comfort, zona però in cui, alla lunga, finiscono per mancare l’aria e la possibilità di apprendere e crescere. Possibilità che, per inciso, si presenta sempre oltre la propria comfort zone e grazie all’opportunità, che la bellezza può offrirci, di fare esperienza anche della nostra imperfezione, della fragilità della nostra vita che la rende irripetibile.
Stiamo, dunque, vivendo in un momento storico di ‘immunizzazione del bello’. L’estetica finisce per diventare anestetica: il bello si deve omologare ai canoni che dettano le regole del gioco, la bellezza si deve adeguare, finendo per annoiarci a morte. Poco importa che ciò significhi che tutto, alla fine, sembra identico perché identico è il principio cui ci si ispira.
In definitiva il rischio è sentirci serenamente appagati, certo, ma anche tremendamente soli con le nostre imperfezioni che non sappiamo riconoscere e condividere o, nel migliore dei casi, drammaticamente immobilizzati nella nostra bolla – ovviamente bellissima !