Il trauma è storicamente stato definito come una risposta a eventi estremamente destabilizzanti, al di là delle capacità di adattamento della persona. Secondo il DSM-5, il trauma si manifesta in seguito a esperienze caratterizzate da minaccia alla vita, violenza o gravi danni fisici, ma la ricerca più recente amplia questa definizione. Il trauma può anche derivare da un clima familiare negativo e cronico, una “atmosfera traumatica” che, senza essere associata a eventi estremi, può comunque lasciare tracce profonde e durature. Il trauma relazionale o cumulativo, così definito da Judith Herman e Bessel van der Kolk, si riferisce all’effetto cumulativo di microtraumi e conflitti interpersonali, in particolare durante l’infanzia, quando le esperienze si intrecciano con lo sviluppo delle capacità di regolazione emotiva e di costruzione del senso di sé.
Il concetto di trauma è quindi molto più vasto e variegato rispetto alla concezione tradizionale: si estende a includere l’impatto delle interazioni familiari croniche e disfunzionali. Questa nuova prospettiva invita a considerare il trauma non solo come un evento isolato, ma come una possibile esperienza protratta, capace di influenzare il benessere delle generazioni successive. La domanda chiave quindi è: come può il trauma di una generazione “passare” a quella successiva, nonostante non vi siano esperienze traumatiche dirette? Le risposte provengono da ambiti complementari. Considererò qui, tra le altre, la biologia epigenetica, le teorie sistemiche familiari e le teorie psicodinamiche.
I meccanismi epigenetici
Gli studi in campo epigenetico hanno evidenziato come i traumi e le esperienze di vita difficili possano lasciare tracce nel DNA, non attraverso cambiamenti nella sequenza genetica, ma modificando l’espressione genica. Meccanismi epigenetici come la metilazione del DNA e le modificazioni degli istoni regolano il grado di espressione di specifici geni, influenzando i livelli di ormoni e neurotrasmettitori, in particolare quelli associati alla risposta allo stress, come il cortisolo.
Ricercatori come Rachel Yehuda hanno studiato gli effetti epigenetici del trauma su persone sopravvissute a eventi estremi, come l’Olocausto o l’attacco dell’11 settembre, e hanno scoperto che la regolazione dei geni legati alla risposta allo stress può essere alterata in queste popolazioni. La scoperta affascinante è che i figli di sopravvissuti presentano modifiche epigenetiche simili, suggerendo una trasmissione del trauma “incorporato” e l’influenza della “memoria” genetica.
A livello neuroendocrino, il trauma influisce sulla regolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), fondamentale per la gestione dello stress. La disregolazione dell’asse HPA può portare a una risposta eccessiva o insufficiente allo stress, influenzando il modo in cui gli individui percepiscono e reagiscono agli stimoli minacciosi. Questo stato di iper-reattività o ipo-reattività può essere “ereditato” dalle generazioni successive, esponendo la prole a una maggiore vulnerabilità verso ansia, depressione e altre problematiche emotive, anche in assenza di un trauma diretto.
Studi su animali hanno ulteriormente confermato questo fenomeno. In esperimenti condotti su roditori esposti a condizioni di stress elevato, si è osservato che anche le generazioni successive manifestavano livelli di stress anormali. Le esperienze traumatiche dei genitori vengono quindi trasmesse non solo attraverso il comportamento, ma anche attraverso modificazioni biologiche durature, che influenzano profondamente la regolazione emozionale e il comportamento della prole.
Lealtà invisibili e patologie di lealtà: il modello sistemico
Un ulteriore contributo alla comprensione della trasmissione transgenerazionale del trauma deriva dalle teorie sistemiche familiari. Ivan Boszormenyi-Nagy ha introdotto il concetto di “lealtà invisibili” per descrivere i legami emotivi che uniscono i membri della famiglia attraverso obblighi impliciti e non dichiarati. Questi vincoli emotivi possono portare i discendenti a “riparare” i traumi non risolti delle generazioni precedenti, anche inconsapevolmente, per mantenere l’equilibrio familiare.
Le “lealtà invisibili” si manifestano spesso come “copioni” o “miti familiari” che gli individui seguono inconsciamente, portandoli a ripetere dinamiche disfunzionali e traumi non risolti. Anne Ancelin Schützenberger, psicologa e psicoterapeuta, ha esplorato il concetto di “patologie di lealtà” e ha descritto fenomeni come la “sindrome dell’anniversario”, in cui i traumi familiari si ripetono ciclicamente in certe date o fasi della vita.
Questi meccanismi sistemici possono portare i discendenti a ripetere schemi distruttivi o a portare un “peso” emotivo che non appartiene loro direttamente. Ad esempio, un figlio può percepire un “dovere” inconscio verso un genitore o un antenato, ripetendo inconsapevolmente comportamenti e dinamiche disfunzionali per “essere leale” alla memoria familiare. Questi “debiti” o “mandati” impliciti hanno effetti profondi sul benessere psicologico e possono portare alla perpetuazione del trauma nel contesto familiare.
La Prospettiva Psicodinamica e il Trauma Inconscio
Il modello psicodinamico arricchisce ulteriormente questa comprensione, suggerendo che ciò che non è stato elaborato o pensato dai genitori tende a essere trasmesso come “eredità psichica” alle generazioni successive. Secondo questo modello, i traumi non risolti si trasformano in “non-detti” o “fantasmi” che restano presenti nella psiche familiare, influenzando profondamente i discendenti.
Françoise Dolto ha parlato di questi “fantasmi” psichici, mentre Wilfred Bion ha introdotto il concetto di “contenitore” emotivo: per crescere in modo sano, i bambini hanno bisogno di genitori in grado di contenere e gestire le loro emozioni e paure. Se un genitore è sopraffatto da traumi irrisolti, la sua capacità di fungere da “contenitore” sicuro per il bambino è compromessa, esponendo il figlio a sentimenti di insicurezza e ansia. Questo concetto viene ulteriormente sviluppato da Didier Anzieu, il quale ha parlato della “pelle psichica” come barriera protettiva che si forma grazie all’ambiente emotivo che il bambino sperimenta.
La teoria psicodinamica, quindi, ci insegna che i traumi non elaborati, in particolare quelli che non possono essere pensati e verbalizzati, tendono a “reclamare” una forma di espressione nelle generazioni successive. I figli possono sentire questo “peso invisibile” attraverso modalità non verbali, come atteggiamenti, silenzi o comportamenti apparentemente inspiegabili. La psiche dei bambini tende a captare e ad “assumere” questi carichi emotivi, creando una vulnerabilità che si manifesta in sintomi e difficoltà nelle relazioni, spesso senza un trauma identificabile all’origine.
Riconoscere la trasmissione transgenerazionale del trauma significa, innanzitutto, aprire la strada a percorsi terapeutici consapevoli, mirati non solo alla risoluzione dei sintomi individuali ma alla rielaborazione delle radici più profonde del malessere. Sia le neuroscienze che gli approcci sistemici e psicodinamici ci insegnano come il passato familiare possa influenzare, spesso in modo inconsapevole, le vite delle generazioni successive. Questa comprensione, oggi supportata da una vasta letteratura scientifica, ci permette di ampliare la nostra visione del trauma e delle sue ricadute, offrendo interventi che prendano in carico l’intero “sistema” della persona: corpo, mente e storia familiare.
Oggi esistono approcci terapeutici avanzati e diversificati che permettono di affrontare efficacemente queste ferite intergenerazionali. Tra le terapie che hanno mostrato particolare efficacia nella rielaborazione del trauma troviamo l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing), che ha ottenuto risultati significativi nell’elaborazione dei traumi sia acuti che complessi, e la psicoterapia transgenerazionale, che consente di esplorare le lealtà inconsce e i legami emotivi che legano le generazioni. La terapia familiare sistemica si è rivelata particolarmente utile per “sciogliere” i nodi di lealtà invisibili e per riscrivere copioni intergenerazionali che possono influire pesantemente sul benessere psicologico.
Inoltre, interventi come la Compassion Focused Therapy (CFT) e la Mindfulness relazionale si stanno affermando come approcci validi per aiutare i pazienti a sviluppare una maggiore consapevolezza dei propri stati emotivi, a regolare meglio le risposte allo stress e a migliorare le relazioni interpersonali. La mindfulness, in particolare, favorisce un processo di “disidentificazione” dai traumi non risolti, aiutando l’individuo a coltivare uno spazio di accettazione e consapevolezza nei confronti delle proprie esperienze, senza esserne dominato.
In conclusione, il cammino verso la guarigione richiede spesso un lavoro profondo, sostenuto da strumenti terapeutici mirati e da un percorso di conoscenza e rielaborazione di sé. La possibilità di sciogliere i legami inconsci che perpetuano la sofferenza attraverso le generazioni offre una nuova libertà e apre al cambiamento. Oggi, le traiettorie cliniche e le teorie a nostra disposizione rappresentano strumenti di grande potenza per curare queste ferite invisibili, permettendo alle nuove generazioni di vivere con un senso di maggiore equilibrio e autenticità, libere dal peso dei traumi del passato.
AlessandroCiardi
Psicologo, Psicoterapeuta Milano
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