Oltre il mito dell’autostima
Quando si parla di autostima, si evoca un termine che, apparentemente, suggerisce qualcosa di positivo e desiderabile e, in effetti, nel senso comune lo è. Tuttavia, a uno sguardo più attento, la parola stessa tradisce la sua natura problematica: autostima implica una valutazione, un giudizio, e spesso, un confronto. In altre parole, per avere stima di sé si sta implicitamente e non intenzionalmente attivando un sistema motivazionale competitivo che, per perseguire l’obiettivo di portarci a sviluppare autostima, ci porta a misurarci con standard esterni, con gli altri, e persino con una versione ideale di noi stessi. Questo approccio può generare insicurezza, ansia e un senso cronico di inadeguatezza.
Nella Compassion Focused Therapy (CFT), si preferisce spostare l’attenzione dall’autostima alla capacità di prendersi cura di sé e di valorizzare i propri bisogni. Questo cambio di prospettiva ci invita a smettere di paragonarci agli altri e a focalizzarci sull’importanza di dare valore a ciò che siamo e a ciò che sentiamo.
L’autostima come sistema motivazionale competitivo
Il concetto di autostima nasce in un contesto culturale che spesso enfatizza la performance, il successo e il confronto. Giudichiamo il nostro valore personale sulla base di standard esterni: il riconoscimento sociale, i risultati lavorativi, l’aspetto fisico o il possesso di beni materiali. Questo processo attiva spesso il nostro sistema di minaccia, rendendoci iper-vigilanti e portandoci a temere il fallimento o il giudizio altrui.
La ricerca psicologica mostra come un’autostima elevata, se basata esclusivamente su criteri esterni, possa essere fragile e instabile. Le fluttuazioni dell’ambiente o dei risultati personali possono infatti far crollare rapidamente l’idea che abbiamo di noi stessi.
Passare dal paradigma dell’autostima al paradigma della cura di sé significa ridimensionare l’importanza del giudizio e della comparazione, per abbracciare un approccio più compassionevole, che valorizza la nostra umanità e la nostra interezza, incluse le fragilità.
Un passo fondamentale verso un rapporto più sano con noi stessi è imparare a dare valore a ciò che sentiamo e a chi siamo. Questo significa accogliere le nostre emozioni, anche quelle dolorose, come segnali importanti che ci indicano i nostri bisogni profondi. Ad esempio, un sentimento di disistima potrebbe essere il sintomo di una mancanza di ascolto o di riconoscimento che abbiamo subito nel passato.
Valorizzare se stessi non significa negare le proprie difficoltà o chiudere gli occhi di fronte ai propri limiti. Al contrario, è solo accettando le ragioni profonde di ciò che percepiamo come disfunzionale che possiamo iniziare un processo di evoluzione e crescita. La compassione verso di noi stessi non è una giustificazione o un’autoindulgenza, ma il punto di partenza per costruire un cambiamento autentico.
Le radici della disistima
Le teorie psicodinamiche e dell’attaccamento offrono preziose chiavi di lettura per comprendere l’origine della disistima.
Secondo la teoria dell’attaccamento di Bowlby, la percezione che abbiamo di noi stessi si forma nelle prime relazioni significative della nostra vita. Se i nostri bisogni di sicurezza, amore e riconoscimento non sono stati soddisfatti da figure di riferimento affidabili, è probabile che svilupperemo una visione di noi stessi come non degni di valore. Questo schema può perpetuarsi nell’età adulta, influenzando negativamente la nostra capacità di costruire relazioni sane e di accettarci per come siamo.
In questa cornice, è cruciale considerare il ruolo delle cosiddette “decisioni di sopravvivenza” prese dal bambino. Winnicott sottolinea come, in situazioni di attaccamento insicuro o disorganizzato, il bambino possa sviluppare una sorta di inversione di ruolo: per mantenere il legame con le figure di riferimento, si “occupa” dei bisogni emotivi del genitore, sacrificando la propria libertà di esplorare e soddisfare i propri bisogni autentici. Questo fenomeno, noto anche come parentificazione, ha conseguenze profonde sulla capacità del bambino di sviluppare una sana autostima e un senso di sé integrato. Il bisogno di “proteggere” il genitore si traduce spesso in una repressione delle proprie emozioni autentiche, contribuendo a una visione svalutante di sé.
Da un punto di vista più sistemico, le dinamiche della famiglia allargata possono anch’esse giocare un ruolo significativo. Secondo le costellazioni familiari e altre teorie sistemiche, il bambino potrebbe trovarsi irretito in schemi disfunzionali che vanno oltre la relazione diretta con i genitori. In alcune situazioni, il disagio del bambino potrebbe essere espressione di conflitti non risolti o traumi transgenerazionali che si manifestano all’interno del sistema familiare. La mancanza di autostima, in questi casi, non è solo il risultato di esperienze dirette, ma anche di un’eredità emotiva che il bambino si sente inconsciamente chiamato a portare.
La buona notizia è che queste ferite possono essere guarite. La psicoterapia offre uno spazio sicuro in cui esplorare le proprie esperienze, riconoscere i propri bisogni insoddisfatti e sviluppare una relazione più compassionevole con se stessi.
Nel contesto della Compassion Focused Therapy, si lavora per attivare il sistema di regolazione affiliativa, che ci permette di provare sicurezza e connessione, anziché minaccia e confronto. Attraverso tecniche come la mindfulness, l’immaginazione compassionevole e la costruzione di un dialogo interno gentile, è possibile ridurre l’auto-critica e incrementare la capacità di prendersi cura di sé.
Guardare al futuro con occhi diversi significa anche riconoscere che non siamo definiti dalle nostre mancanze o dai nostri errori, ma dalla nostra capacità di apprendere, cambiare e crescere. Ogni passo verso un maggiore ascolto di noi stessi è un passo verso una vita più piena e soddisfacente.
Abbandonare il paradigma dell’autostima per abbracciare quello della cura di sé significa rompere con una visione basata sul confronto e sulla valutazione. Invece di misurarci con standard esterni, possiamo imparare a valorizzare ciò che siamo e ciò che sentiamo, accogliendo le nostre fragilità come parte integrante della nostra umanità.
La strada della compassione verso se stessi non è sempre facile, ma è quella che conduce a una trasformazione profonda e duratura. Ed è attraverso questo percorso che possiamo scoprire il valore autentico di prenderci cura di noi stessi.
AlessandroCiardi
Psicologo, Psicoterapeuta Milano
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